Ma questa piazza evoca anche un conflitto, una ferita che risale al 1968, quando la comunità parrocchiale si spaccò tra chi continuò la sua esperienza con don Mazzi e don Gomiti e chi invece scelse l’obbedienza al vescovo Florit.
Dalla morte del Card. Piovanelli, che io sappia, non sono più stati fatti gesti di dialogo e di attenzione da parte dei vescovi, seguendo l’antico adagio “quieta non movere”.
Negli ultimi anni è sorto qualcosa di nuovo: i passi che non sono stati fatti dall’alto sono stati fatti dalla base e si è assistito ad un “disgelo” nelle relazioni tra Parrocchia e Comunità dell’Isolotto, frutto di una comune volontà di incontro: le due realtà hanno iniziato a collaborare attivamente sul piano sociale e culturale (aggiunta a braccio sull’essere promotori insieme del momento in piazza sulla pace la mattina di ogni prima domenica del mese).
Oggi penso di poter definire come cordiali le relazioni tra parrocchia e comunità, tanto e vero che siamo insieme in questa manifestazione con due segni significativi:
- Il portone della parrocchia, che per tanti anni è stato sbarrato a separare le celebrazioni delle due comunità, dal tempo del Covid – e anche stasera – , viene tenuto spalancato.
- La comunità dell’Isolotto contribuisce a questo evento con la sua storica amplificazione che è servita per tante celebrazioni in piazza.
Come spesso succede, anche stavolta ciò che accade all’Isolotto è emblematico: è dal basso che parte il dialogo, è partendo dal basso che si costruisce la riconciliazione e la pace.
Ma ciò che nasce dal basso, pur importante, non può bastare. È tempo che la Chiesa fiorentina nel suo insieme rimetta a tema questo conflitto che ancora la abita e cerchi attivamente le strade per cercare di superarlo.
Abbiamo tutti il sogno di costruire una chiesa missionaria, inclusiva, costruttrice di pace e tutti noi siamo chiamati, credo, a vivere questi valori iniziando dal nostro interno.
Con pazienza e fiducia.